Checco


Una signora si accorse di Checco perché col suo continuo lamentarsi non la faceva dormire. Era detenuto in un serraglio domestico, nel cortile-latrina di un noto frequentatore del bar dove i simpatizzanti di Federcaccia si riuniscono solitamente. Una persona tutto sommato anche civile, apparentemente. Non un burbero, rozzo, ignorante individuo come risulta spesso essere chi commette questi reati. Affabile, anche umile. Lui non praticava nemmeno piú la nobile arte, ma sai com’é, va cosí la vita: troppa vergogna chiamare qualcuno per farsi aiutare, per aiutare quel cane pelle e ossa, con evidenti lesioni e dermatiti, totalmente deprivato di qualsiasi contatto umano e animale. Gli portava pane e acqua una volta ogni due giorni. La tettoia c’era, forse. Apposto cosí. Farsi cedere Checco non fu facile. Affrontare l´onta morale, ”sa bregùngia”, con i compagni di pinot era veramente un compito arduo, per il suo detentore. In un paese normale, appurato che il cane versava in condizioni al limite della sopravvivenza, la macchina istituzionale avrebbe dovuto intervenire e risolvere tutto in dieci minuti, appioppando anche una bella sanzione per mancata iscrizione in anagrafe canina oltre alla contestazione del reato di maltrattamento. In un paese normale. Anche per Checco, cosí come per Giada, quella chiamata non arrivó mai. Ma chi si carica un cane con Leishmania e un debito dal veterinario giá alto prima ancora di vedere il cane? Nessuno. Checco e Giada riposano assieme sotto un albero di limoni.